un atteggiamento contemplativo che è come l’orizzonte remoto della preghiera vera e propria. Ritengo che la disposizione essenziale alla preghiera sia l'accoglienza; ma l’accoglienza non è un atteggiamento che si improvvisa: ha radici lontane in tutto un mondo di essere e di sentire. Aprirsi, con amorosa attenzione alle cose, è già una forma di accoglienza; disporsi all’attesa della primavera, aspettare i germogli , le erbe, i profumi della terra, è già una forma di accoglienza. La rinnovata meraviglia per il miracolo del mondo che si rinnova a ogni stagione è già un inizio di quello stupore religioso che ci prende, al cospetto di Dio.
Ecco, quindi, l’aprirsi delle cose con tutti i pori spalancati a ricevere i messaggi della terra, che può farsi sostanza di preghiera; poiché le cose sono una sorta di sacramento di Dio.
Allora, per chi ne abbia possibilità, fare un piccolo giro mattutino per sorvegliare i germogli, seguire il loro sviluppo, sorprendere il primo bocciolo nascosto, sarà un preludio alla preghiera forse più utile della “composizione di luogo” ignaziane.
Mentre scrivo è prima mattina e il sole, finalmente tornato dopo mesi d’esilio, sta asciugando la rugiada. Fra poco scenderò, calzerò un paio di stivali per camminare sull’erba bagnata, e andrò a fare il mio giro nell’orto: un giro gratuito che poi, per strada, trova anche una sua non programmata utilità. Perché qua troverò un’erbaccia da togliere, là una dorifora da eliminare, là ancora un germoglio caduto da sostenere con una legatura… È la vita che rompe la crosta della terra per farsi la sua strada verso l’aria e la luce (e a volte ci sarà anche bisogno di aiutarla e spezzare la crosta indurita per aprire un varco al germoglio…).
Che le sensibilità un po’ sacrali mi perdonino ma una visita all’orto è un po’ come una visita in cappella: un incontro. Con le cose e con Dio. E in un primo tempo l’incontro con le cose può prepararci, o conseguire all’incontro con Dio; poi diventa quasi la stessa esperienza. Non voglio fare del panteismo. Sappiamo bene Dio è “altro”; ma è Altro dentro; e il suo essere trascendente e al di sopra delle cose è altresì un essere immanente e all’interno di esse. Noi diciamo “Padre nostro che sei nei cieli”; ed è legittima immagine, ma potremmo anche dire: “Padrenostro che sei in terra”. E il prevalere di un’immagine sull’altra forse misura la distanza – o la prossimità – che ci separa – o ci avvicina – alla pienezza di quel regno che già è e non ancora è; non ancora ci investe e già ci sfiora.
Adriana Zarri da "Un eremo non è un guscio di lumaca". Editore Einaudi.